Qual è la falesia più bella di Verona?

Qual è la falesia più bella di Verona?

Eh… difficile.

«Forse Ceredo», dice il mio socio. 

Lui è bravo oltre la verticale e in quel ferro di cavallo fatto di pareti che perimetrano il paesino della Lessinia si trova di tutto. Soprattutto tetti, prue strapiombanti e qualche muro verticale. E colori, tanti. Si scala sul bianco metallizzato di alcune colate, si attraversano le sfumature che ruotano attorno al “rosso Verona” e si arriva mettere magnesio sui muri verticali grigio/neri. Il ponte di Veja, dall’altro lato della valle, guardiano silenzioso del settore “Ostramandra”: fantastico!

«Bello, si! ma tanto caos», obietto io…  «e le prese spesso lise, e gli appoggi gommati come l’interno della prima curva dell’arrabbiata al Mugello dopo una gara di MotoGP». Già, curva … adesso che ci penso, la metafora nasce dal grido disperato dell’ultimo fortissimo sloveno che ho visto cadere a-vista davanti alla catena di Miracle[1]: «Cuurvaaa!!!!»[2]. Era un climber intento a scalare una “via”, non certo un “tiro”, altrimenti avrebbe gridato qualcosa come: žigolo! Ma questa è un’altra storia, meglio passare oltre!

Allora rilancio: «meglio guardare al Sengio Rosso». Posto più tranquillo e generoso, anche nei gradi, il che non guasta. Quaranta minuti di sentiero ti portano lontano da tutte le “curve” … quelle gridate e quelle del Mugello. 

«Quaranta minuti che ingrossano le gambe», ribatte il mio socio. Lui allena solo dorsali, bicipiti e flessori delle dita. «E poi le prese piccole sono dolorose… il contesto è magnifico, certo… ma anche no!».

Forse ha ragione lui.

Noi scaliamo, caspita! Siamo Arrampicatori Sportivi e non facciamo nessun ipotetico “duathlon” composto da trekking+climbing. 

La più bella si cercava…

Penso al Sipario delle ombre… merita, è un balcone sull’Adige ma son 4 tiri in croce, o meglio, sono i soliti 4 tiri che riesco a salire in libera senza l’impressione di volare direttamente nel fiume. Ceraino, Stallavena e Cà Verde, tutte belle, certo, ma sono falesie per gli amanti del passato… roba da conservatori, da restauratori. Il Congresso di Vienna è roba del 1814 e nessuno di noi vuole restaurare alcun “Ancien Régime”. Anzi, noi spesso confondiamo la bellezza con la giovinezza. Per questo diventa inevitabile guardare sempre oltre, sempre avanti. Quando sono ai Falconi quasi non mi accorgo di tutto il chiodato. Sono così preso da tutto quello che c’è dall’altra parte della valle che chiedermi: “non c’è niente di là?”, diventa un ritornello.

Poco da fare, cosa ne capiamo noi di bellezza se non riusciamo a godere nemmeno di quello che abbiamo sotto le dita già piene di magnesio. Pensiamo sempre alla prossima falesia che verrà strappata all’anonimato e, una volta battezzata, data in pasto agli insaziabili climber incapaci di riconoscere il “bello”. 

Sul tavolo del bancone del bar la birra diventa calda. Una bolla sale dal fondo del bicchiere e si fa largo tra la schiuma di superficie. Una frase letta su aforismi.it risale dal fondo della coscienza e si fa largo nei miei pensieri: “Lasciamo le belle donne agli uomini senza immaginazione”. Frase di Proust, il tizio delle infinite pagine scritte “Alla ricerca del tempo perduto” che nessuno di noi ha letto. 

«Lasciamo le belle falesie agli uomini senza immaginazione» … ecco la bolla che esplode oltre la schiuma, il pensiero che si rivela.

La verità è che non si riesce mai a parlare di ciò che si ama. Si dice che è “bello” perché non si ha nulla da dire di dettagliato, di particolare e ci si rifugia nel generico, nel canone in voga.

“Immaginare” è sentire qualcosa che muove da dentro, è costruire qualcosa nella propria mente.

La birra è ormai imbevibile da quanto è calda e il socio è stanco del silenzio in cui mi sono chiuso. È complice ma annoiato, come quando resto prigioniero del riposo che precede il passo chiave del mio progetto.

Ci vuole tempo anche lì, quando si è sul “riposo”. Servono minuti per capire se gli avambracci sono “tornati nuovi” ed è arrivato il tempo di provare, di tentare il passo “duro”. Magari è questo il tempo che cercava Proust…

Ci vuole tempo anche qui, per trovare le parole adatte e fuggire dall’inutile bello. Ci vuole tempo per capire quando ci sente veramente a “casa”, quando una falesia risuona a livello personale e diventa musica facendosi largo nel rumore delle mode, nel fracasso assordante dei canoni del tempo.

Ecco, forse in questo c’è la risposta: il “bello” è quando in una falesia ci si sente “a casa”. 

Allora sorrido, guardo il socio, gli dico: «occhio eh, do ancora un’ultima “scrollata” e parto. Vado. Ci provo!».

Prendo il boccale, deciso, con il destro, e con un sorriso affronto la birra calda.

Testo & foto: Andrea Tosi & Mauro Magagna

N.B. Articolo scritto per la rubrica “Divagazioni” del King Rock Journal.

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[1] Miracle: storico itinerario di Ceredo Classica. La sua difficoltà, 8a, è caratterizzata da un difficile arrivo in catena su appigli che non lasciano molto scampo alle imprecisioni tipiche dell’on-sight.

[2] Quello che noi capiamo come “Curva” in realtà si scrive “Kurba”, parola che nella nostra lingua può essere tradotta come “donna dai facili costumi”. Esclamazione tipicamente maschile che non lascia dubbi sul modo di intendere l’arrampicata sportiva.


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