Intervista a Massimo Bursi (part 3/3)
«Anche tu, Massimo, hai avuto l’intelligenza di cambiare, o meglio, di schivare parte della domanda iniziale facendo fare alla risposta un giro largo largo».
«Ma no! ti ho parlato di “storia delle barriere psicologiche”, di “storia della biologia”, delle lente mutazioni e dell’evento del salto quantico che arriva come una rivoluzione… questa è la storia dell’alpinismo che mi piace, se poi riesco a viverla andando sul campo, mi piace ancora di più!».
«Allora aggiungo qualcosa alla domanda, perché a sentirti parlare mi torna alla mente una statua tanto cara al poeta Caproni, quella di Piazza Bandiera, a Genova, che raffigura Enea in fuga da Troia: sulle spalle il vecchio padre Anchise e per mano il giovane figlio Ascanio. Chiedevo anche di modelli a cui ti ispiri, quindi, sarò esplicito: ti senti Enea quando scrivi di Alpinismo?»
«Più che Enea mi sento Anchise. Poiché molte di queste esperienze in montagna le faccio con Paolo, mio figlio. È lui ad esser Enea».
«Mi sorprendi, e non l’avrei mai detto. Ragionavo al contrario e pensandoti solo come narratore, ti avvicinavo a Enea, nel senso che il tuo scrivere traghetta questi giganti del passato nel presente a beneficio di chi verrà».
«No, no! io mi sento più il padre di Enea. E mi sento così perché vedo che Paolo, in parete, si muove meglio di me. E giustamente, perché trent’anni di differenza si sentono. E ti dico una cosa sulla storia dei giganti sulle spalle: i giganti, sono anche un peso, Perché tu vai via con lo zaino leggero tra i giganti, ma porti sulla schiena i fantasmi di questi giganti, che inevitabilmente ti appesantiscono. Se tu hai letto che sul diedro della Philipp-Flamm, su quei 300 metri lì son tornati indietro fior fior di alpinisti, o che qualcuno ci ha bivaccato dentro. Quando tu arrivi lì, ti caghi un po’ sotto. Quando un certo Nicola Tondini ti dice ha parlato con Walter, che è il gestore del Rifugio Tissi, e ti dice che ci sono quattro aspiranti guide alpine francesi, che sono lì per fare il curriculum per il loro corso e che hanno bivaccato a 8 tiri dalla fine… insomma, quando sai queste cose qua e sai anche, perché lo hai letto, che fior di alpinisti ci hanno dormito dentro… Allora ti chiedi: chi sono io per andare a ripeterlo? Hai questi giganti sulla schiena che intimidiscono e appesantiscono le tue prestazioni. Cioè, non sei più il ragazzino diciassettenne/ventenne che non sapendo la storia è reso libero dall’ignoranza. La troppa conoscenza diventa un peso, un peso psicologico, diventa una barriera psicologica da superare».
«Quindi, anche tu confermi che “l’inferno è una buona memoria”, per dirla con il titolo di un libro recente».
«Eh, questo è un bel gioco che lo storico alpinista prova sulla sua pelle. Perché, facciamo un esempio e prendiamo una via che non farò mai: “Il pesce” in Marmolada. Sostanzialmente, io penso che sia bellissimo fare il pesce. Però, se tu sali “Il pesce” e non sai la storia, ti perdi una dimensione. E va bene, penso che se lo fai e magari hai un livello di tre gradi sopra quello proposto dai tiri, vivi un’esperienza sportiva… però, se conosci tutta la storia, vuol dire che la via “Attraverso il pesce” l’hai inizialmente sognata. L’hai scalata nella tua mente, l’hai già pensata, ed è solo a un certo punto che la realizzi: lo step finale. Questa, secondo me, è una dimensione onirica, incredibile. È chiaro che da questa dimensione onirica puoi essere anche inibito. Perché sei conscio di non essere all’altezza di Cesare Maestri o dei giganti che ti hanno preceduto. Allora ti chiedi: come sarò quando sarò là, come risponderò?»
«Bisogna andare sul campo, toccare la roccia per toccarsi con mano… Ma cambiamo argomento e portiamo luce sul tuo impegno in APS Arrampicata Verona, di cui sei segretario. Non trovi che questa tua passione verso la scrittura di fatti accaduti sia una forma di cura del materiale umano esistente, una forma di richiodatura o di sostituzione di moschettoni “umani” usurati. Un lavoro di recupero di storie/itinerari che rischierebbero altrimenti di cadere nel disuso e quindi nell’oblio».
«Il contributo che mi sento di dare, nasce da una domanda che mi sono fatto: come posso aiutarli? Andare a richiodare una via? Mettere della Sika su blocchi che si muovono? No, con un trapano in mano c’è un sacco di gente più brava di me. Io posso aiutare con l’esperienza che viene dal mio lavoro di ogni giorno in azienda. Gestisco soldi, budget e prendo azioni… cose così. Posso quindi aiutare dal punto di vista organizzativo, ma soprattutto, mi piacerebbe riuscire a recuperare la nostra storia minore, quella veronese. Questo è il mio grande sogno. Altrimenti rischiamo di perdere pezzi di conoscenza, pezzi di evoluzione. Perché è bello leggere l’evoluzione e le storie dei personaggi come Honnold, tanto per dire un nome, però, nel nostro piccolo, questa storia minore ha inciso sulle nostre vite tanto quanto e forse di più della storia maggiore. Ed è un peccato che certe storie vadano perse. Per cui, sì! si può fare una manutenzione delle vie fisiche, ma si può anche fare una manutenzione, un recupero, di queste informazioni, di queste storie di vita. Alla fine l’alpinismo o l’arrampicata è una storia di passione. Ha una dimensione in più dello sport, perché puoi narrarlo con un tono epico un pelino più marcato rispetto alle altre storie “sportive”».
Il dialogo prosegue e ci disperdiamo in nomi quasi dimenticati dell’arrampicata veronese.
Eravamo partiti da De Gregori e finiamo con Fossati, parlando “di come fare, di come dire, di come fare a capire”… Un “Dis-canto” tutto da inventare per far riemergere la storia nostrana. Come scriverla? Come “entrare” in questi personaggi che, presi dal troppo vivere, non trovano le parole per dirsi? Finisco con il rievocare un film di Godard poco prima di essere (entrambi) richiamati all’ordine dall’allenamento che non può più attendere.
Strana fusione questo “aedo” veronese. Passione per l’arrampicata e passione per la conoscenza. Inutile cercare se l’una deriva dall’altra o viceversa. Domandi allo scrittore e ti risponde l’alpinista. Enea è anche Anchise. Per Massimo l’amore per l’arrampicata è immediatamente sete di conoscenza e viceversa, un nodo inestricabile che lega insieme famiglia, lavoro, tempo libero tra i monti e tempo libero tra i sogni di carta.
Sì! si asciugherà anche quel diedro che tanto ti affascina, e nessuno mai saprà in quale dimensione senza tempo finirai quando sotto la tua scarpetta passerà l’appoggio pestato da te e contemporaneamente, nello stesso istante, da tutti i giganti che ti hanno preceduto e che saranno ben stivati nel tuo zaino.
Zaino che tu non porti sulle spalle, ma sotto i capelli, al sicuro, ben custodito dal tuo caschetto!
Grazie Massimo.
Intervista raccolta da Andrea Tosi