Punto Rosso
Se vi dico “Punto Rosso” cosa vi viene in mente? Beh per facilitarvi la vita ve lo dico in tedesco “Rotpunkt” o in inglese “Red Point”… ora sapete a cosa mi sto riferendo?
Nel 1975 lo scalatore Kurt Albert, nella falesia del Frankenjura, scala in arrampicata libera, come la intendiamo noi adesso, le prime vecchie vie di artificiale e per distinguerle dalle altre le segna alla base con un punto rosso di vernice.
E’ proprio così che nacque la filosofia del rotpunkt e cioè di salire in libera quello che finora era stato tradizionalmente salito in artificiale o effettuando delle vigorose “mungiture”.
Questo fenomeno si è diffuso come un baleno sulle Alpi e sulle classiche vie delle Dolomiti.
Nel 1979 un climber inglese Pete Livesey ha effettuato una campagna dolomitica, ripetendo la classicissima Costantini-Apollonio al Pilastro della Tofana tutta in libera (rotpunkt, cioè da capo cordata, senza attaccarsi o riposarsi sui chiodi e senza voli). Poi ha provato la Lacedelli alla Cima Scotoni ma fu costretto ad effettuare un riposo su un chiodo (la libera avvenne nell’anno successivo da parte di Manolo) ed infine si è cimentato con la via Buhl alla Roda di Vael con soli 6 chiodi di progressione.
Nel 1981, questa stessa via viene provata da Wolfgang Gullich con Kurt Albert e rimangono solo due punti di riposo (resting). Finalmente nel 1982 Heinz Mariacher riesce a passare completamente in libera (rotpunkt).
Il processo inesorabile della arrampicata libera e del necessario allenamento aveva cominciato prepotentemente ad entrare nella mente dei più forti climber ed in cascata anche nel nostro modo di arrampicare.
Spostandoci sulle nostre pareti, i vari Nicola Sartori, Nicola Tondini, Andrea Simonini ed altri che mi perdoneranno di non essere citati hanno cercato di liberare tutte le vie storiche della Val d’Adige… ed ora sta subentrando la stagione dei “giovani leoni del 9a” Luca Bertacco, Alex Ventajas e Silvio Reffo per liberare quanto ancora resiste…
E’ per questo che oggi vogliamo parlarvi di una via che ancora attende la libera.
In Val d’Adige, nella selvaggia zona di Avio, quindi più a nord rispetto al monte Cimo, Sergio Coltri ha aperto un grandioso itinerario, Eco dall’abisso, che nulla ha da invidiare con i vertiginosi strapiombi di Lavaredo e dove è tornato con Andrea Simonini per un tentativo di salita rotpunkt e successivamente ha visto all’opera anche Lorenzo D’Addario per tentare la rotpunkt ma due tiri ancora resistono.
Questa è la magra storia delle ripetizioni e dei tentativi di libera ma lasciamoci guidare dai ricordi e dalle parole di Sergio.
Eco dall’abisso è stata completata in solitaria nel 2016 da Sergio Coltri che aveva identificato la linea di salita circa 25 anni prima – negli anni 90 – quando aveva più energia da dedicare ai tanti progetti verticali ma successivamente questo progetto era caduto nel dimenticatoio.
«Tanti anni son passati, tante cose ho fatto e tante vicissitudini sono successe. Anni che si accumulano sulle spalle e pesano come macigni. Ho trascorso gli ultimi venticinque anni battagliando con una malattia cardiaca. Ho continuato ad arrampicare e sognare e riguardare quel progetto e dicendomi, ora o mai più».
Sergio inizia il progetto accompagnato da Beppe Vidali che però non è molto coinvolto nel progetto…
«Cosi, forse follemente, decido di completarla da solo, sempre dal basso e risalendo, ad ogni ripresa, le statiche nel vuoto, arrivai cosi all’ultima puntata nella quale mi faccio accompagnare da mio figlio per aiutarmi a riportare a casa tutta la quantità di materiale rimasto in parete».
«Esco dalla via, parto, faccio pochi metri, ma torno indietro, guardo giù e urlo un “siii”, l’eco me lo restituisce. “Eco dall’abisso” è finita, un velo di tristezza mi attanaglia, un nodo mi scende fino allo stomaco, il progetto non c’è più… il mio sogno è stato realizzato».
Ma per un sogno realizzato c’è ne è un altro ancora da realizzare… chi si fa avanti per la ripetizione in libera?
La via consta di 10 lunghezze per uno sviluppo di 270 metri ed è ben spittata, ma un paio di friend possono tornare utili per i primi due tiri.
Massimo Bursi
N.B. Articolo scritto per la rubrica “C’era una volta” del King Rock Journal.
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