Foto: Mauro Magagna
Il Mondo
Il mondo, il nostro mondo, è “uno”. Credo sia pacifico.
All’interno di questo mondo possiamo sbizzarrirci e dare sfogo alla nostra creatività.
Correre, nuotare e scalare sono solo alcuni dei modi con cui ci mettiamo in relazione con questo “Uno”, privilegiando un elemento o un altro.
Va da sé che investirsi “anema e core” in questa o quella attività porti ad avere un punto di vista diverso su quanto si è sempre guardato in modo distratto: nuove pratiche aprono le porte a nuove sensibilità.
La strada che tutti i giorni percorriamo in auto per andare al lavoro diventa improvvisamente diversa se vista dalla prospettiva del podista o del ciclista. Nel momento in cui siamo impegnati in qualche attività, notiamo solo quello che ci serve in quel preciso momento. Se guido non faccio tanta attenzione alla qualità del bordo strada… se pedalo sullo stesso tragitto, slalomeggiando tra i tombini profondi 20CM… lo stesso pezzo d’asfalto sembrerà mai visto prima. C’è da augurarsi che tornando in macchina, sempre sulla stessa strada, si conservi qualcosa di quanto visto con gli occhi del ciclista…
Accade poi che qualche attività a noi più cara delle altre si protragga con una certa inerzia – o insistenza – nei territori tipici di altre occupazioni.
Quanti di voi, ad esempio, da quando hanno iniziato a scalare, passando vicino ad un banale muro con mattoni a vista si sono sentiti degli idioti nel riconoscere a sé stessi che stavano valutando la profondità delle fughe tra un mattone e l’altro con l’intento (anche inconscio) di classificarlo “scalabile” o “inscalabile”? Son sicuro che qualcuno avrà anche saggiato l’appiglio reso disponibile dalla fuga, magari alta e profonda. È la sensibilità del climber incallito che invade il quotidiano.
Tutto questo non è molto lontano dalla malattia, questo è sicuro, ma tant’è. Meglio prenderne atto e farne motivo di divertimento.
Allo stesso modo mi capita di aprire le pagine dei libri e di considerare la fila di parole come le sopra citate file di mattoni a vista. Il più delle volte ritengo che l’interlinea sia “intenibile” come una “fuga” troppo stretta o troppo superficiale per ospitare le dita.
La pagina diviene ai miei occhi scalabile quando nel testo si aprono dei buchi, vuoi per l’andare a capo delle frasi, per la fine dei paragrafi o per l’allinearsi di “vuoti” creati da più parole che finiscono sulla stessa colonna a creare dei virtuali “verticali” da tirare.
Ogni volta che apro un libro di Saramago mi vien da ridere e mi sento molto stupido quando mi accorgo che il pensiero corre ai muri compatti di placca verticale. Le pagine di “Cecità” – per fare un esempio, ma si potrebbero citare altri libri dello stesso autore – sono dense, compatte, prive di evidenti appigli utili alla progressione. Le frasi sono spesso incollate tra di loro attraverso la virgola. Sì! c’è qualche maiuscola dopo la virgola per far capire che si doveva andare a capo e ripartire con un nuovo periodo, qualche punto fermo sporadico giusto per esser chiari sul fatto che si conosce la punteggiatura ma la si tradisce liberamente.
Il risultato finale è che la pagina diviene piena e densa come solo sa essere il grigio della placca d’argento.
La lente distorta che anni di arrampicata mi hanno messo davanti agli occhi non risparmia nemmeno i libri.
E allora insisto e sorrido. Rincaro la dose pensando a dove mi rimandano le fratture e gli appigli che costellano le vie facili. Torno al giovane Baricco di “Oceano Mare”: i dialoghi serrati, le parole in maiuscolo che si alternano con quelle in minuscolo, gli elenchi numerati… Buchi come appigli si aprono tra i corti paragrafi e le frasi che partono senza allinearsi al bordo sinistro del foglio. Ronchie e fessure da afferrare si aprono dalla pagina. Spazi vuoti dove il pensiero si riposa allo stesso modo con cui si “sghisa” sull’appiglio generoso.
E poi… e poi viene il momento di tirare forte. Penso al ritmo – oggi lo chiamano “flow” – che serve sugli strapiomboni di Ceredo. Da appiglio discreto ad appiglio discreto con una certa velocità. Appigli come “vuoti” che si aprono qui e là nella pagina… Céline, i suoi maledetti “puntini di sospensione” e le sue pagine che per essere capite devono trovare il giusto ritmo di lettura. La pagina di “Morte a credito” come la sequenza finale di Apokatastasis – a Ceredo, bien sûr. Se trovi il ritmo ti salvi… altrimenti ti ritrovi sulla corda. La pagina che si scrolla di dosso il lettore che non ha saputo tenere il tempo, la via che espelle il climber ghisato. La rilettura come un nuovo tentativo da fare per non trovarsi di nuovo appeso alla corda: morto a credito: appunto.
Gli indispensabili puntini di Céline
Infine, rimane da pensare la pagina per eccellenza, il cuore stesso dell’arrampicata: il tentativo a vista presuntuoso, quello al limite delle proprie capacità. Un muro compatto strapiombante dove non si vede alcun appiglio evidente. Sequenze lunghe poco evidenti tutte da improvvisare. Situazioni dalle quali si parte con molta meno speranza di quanta sia la certezza di dover tornare e ritornare per trovare il bandolo della matassa (pardon, della sequenza): la pagina di William Faulkner. “Mentre morivo”, che già nel titolo porta con sé l’idea del resting, oppure, “Non si fruga nella polvere”, che non parla di magnesite, no! ma provate voi a salire on-sight le sue pagine. I suoi periodi ininterrotti, un Saramago strapiombante! Faulkner ti costringe al lavorato e rimane sempre “aleatorio” dopo ogni rilettura. La punteggiatura salta in aria, i “due punti” si aprono in lunghe serie di altri “due punti” nel mezzo di periodi lunghissimi senza un solo punto. Non sai mai se partire di destro o di sinistro, se riuscirai a cambiar mano per rimediare la sequenza… se capirai qualcosa dalle parole che stai leggendo, dalla sequenza che stai provando.
Ma, “sono solo parole” cantava Noemi un decennio fa, per chi ne ha memoria. Così, alla fine di questa divagazione a metà strada tra il dire e il fare, tra le parole e l’arrampicare, ci viene in aiuto il capo tracciatore Faulkner a pag 156 di “Mentre morivo”. Sono le parole a salire su dritte per una linea sottile…
Ah, scusatemi… siete a vista, non voglio svelarvi “la méthode”.
Tocca a voi! Ecco il testo da scalare:
A buon intenditor… buone arrampicate!
Andrea Tosi
N.B. Articolo scritto per la rubrica “Divagazioni” del King Rock Journal.
Per non perderti nulla di questo nuovo progetto: clicca qui -> https://cutt.ly/wL9p2fx