Zero Zen (non sono Zen)

Zero Zen (non sono Zen)

  • “E tutto ciò che si sa, che non si sia solo udito ruggire e rombare, può essere detto in tre parole”. Lo scriveva Kürnberger.
  • Kürnberger! Chi era costui? Io conosco solo il Manzoni.
  • Era uno scrittore austriaco vissuto a metà del 1800. Wittgenstein lo mette in esergo al suo Tractatus logico-philosophicus. E poche righe sotto, nella prefazione, dice una cosa fantastica che ricordo a memoria: “ciò che può essere detto può essere detto in modo chiaro; e di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.
  • Si, ok. Adesso torna per terra. Dimmi se ho capito male. Perché, “va in cul” sono tre parole. Kürneilresto… sarebbe contento?
  • Sei il solito cretino. Ma tutto sommato hai capito bene.
  • Ma ti immagini il casino che salta fuori se mi permetto di rispondere in tre parole a questa richiesta.
  • Sì, perché doveva tacere. Invece ha preso parola confondendo tutti i piani logici. Se ci pensi bene, quando chiodi una via, la rendi pubblica e la lasci a disposizione di tutti su un territorio che non è di tua proprietà, diventa difficile dire che il materiale “è tuo”. Lo è stato, certo, mentre era nella tua mano. Ma quando lo metti in parete diventa di tutti perché non puoi assumerti i diritti senza accollarti i doveri della presunta proprietà. Oppure sei da ricovero.
  • Lo è ancora se vai a riprendertelo. Schiodi la via e ti riprendi tutto. Perché la via “è tua” in forza della fatica e del lavoro che fai per attrezzarla. In questo senso c’è poco da dire. La via non è “il materiale in parete” ma la visione, la linea salita e consegnata a un ambiente che la apprezzerà attraverso una pratica condivisa: l’arrampicata, in questo caso.
  • Già, fai bene a dirlo. Pare scontato ma, di questi tempi, alcune vie d’arrampicata sono state salite con picche e ramponi, come è successo alla Sengia Sbusa o ad Avesa o altre vie sono state travisate e infarcite di altri fix per essere utilizzate come campi scuola di futuri speleologi. Diventa difficile anche definire i contorni del concetto di “via” per dire che è tua. Diventa un circo: è tua se la scalano a mani nude, degli speleo se la scendono in doppia… 
  • Ammetto sia stato un pensiero che ho fatto anch’io. Credere che una via fosse “mia” in forza del materiale messo in parete e non in virtù del lavoro che ci ho messo nell’attrezzarla. In fin dei conti non ho mai stilato un testamento che vincolasse i posteri all’esecuzione delle mie volontà riguardo questo o quell’itinerario. È li da vedere che prima o poi il materiale in parete sarà deteriorato o, ancora peggio, sarà definitivamente inadeguato alle esigenze di una pratica sportiva che nel suo evolvere, troverà – finalmente, dico io – intollerabile calarsi a terra su materiale artigianale venduto in ferramenta per i lavori agricoli. 
  • È per questo che richiodiamo. Tutto questo circo lo abbiamo messo in piedi perché, magari sbagliando, ci siamo accorti che non ha più senso continuare a guardare verso nuovi luoghi quando quelli storici sono in ostaggio di una vile prudenza (e rilancio citando il Leopardi, non Peppino Dabosco) che lascia marcire le piastre artigianali, quelle che guidano l’arrampicatore sulle vie di geniali apritori che dopo aver “timbrato” la via con una virtuale PP, hanno lasciato tutto in loco senza dare testamento o senza garantire (giustamente) una manutenzione.
  • Salvo poi voler indietro le piastrine (e qui ci sarebbe da discutere sul riciclaggio di piastrine sporche) nel caso in cui qualcuno si prenda la briga di fare manutenzione in modo adeguato agli standard attuali.  È assurdo, porti lustro al loro lavoro rendendo quasi eterna (utilizzando il miglior materiale possibile) una loro visione, ti fai un mazzo per valorizzare un pezzo di storia… e ti vengono a chiedere il conto di qualcosa che mai sarebbero andati a riprendersi. Parlo di materiale che corre il rischio di festeggiare i trenta. Con il rischio di riveder quei “ruderi” riciclati in nuove aperture.
  • Dici bene, ma non schioderanno mai, perché il rischio di schiodare è quello di perdere la proprietà della via. Se ci penso, e mi metto nel mazzo anch’io, sai che siam proprio dei poveretti. Dico che ragionare in questo modo è proprio dei piccoli uomini. E poi c’è qualcuno che si pensa artista nel fare quattro fori per dar vita a una via. Si pensa artista ma si incazza se qualcuno mette a disposizioni di tutti, “musealizza” in un certo senso, l’opera che a suo tempo hanno realizzato salendo con il materiale di allora le “loro” vie.
  • Lo dico spesso agli alpinisti ma credo di dover allargare il discorso a tutti i chiodatori: fate testamento di ogni vostro itinerario o tacete per sempre! Se non lo fate voi, nella pratica il testamento lo faranno gli altri e non sempre sarà concorde con le vostre volontà. Ma va fatto contestualmente alla chiodatura/apertura della via. Troppo comodo attendere di vedere il successo o l’insuccesso di una via. Si firma il quadro (o la via) prima di saper se è una crosta. Altrimenti richiodare diventa una battaglia navale e tra una via che non cagava nessuno e una via che pareva come tutte le altre… si pesta una merda.
  • Ma allora bisogna dirlo a chiare lettere, perché se ho la corda su una via evidentemente da richiodare e mi trovo a fianco una via che ancora per qualche anno sembra accettabile e per questo motivo non la richiodo, mi sembra di essere un coglione. C’è tutta una logistica che impone di far quanto più possibile quando ci si installa con le fisse su una porzione di roccia che accoglie vie eterogenee nella loro attrezzatura.
  • Oppure bisogna dire: questo itinerario non sarà aggiornato nelle protezioni per volontà del chiodatore che ne rivendica la proprietà intellettuale e materiale. E lo farà egli stesso quando e se ne avrà tempo!
  • Oppure la si richioda lo stesso e gli si mettono in conto le ore spese per recuperare le piastrine vecchie e scolorite. Se poi volesse indietro anche i fix… 
  • Oppure gli si lascia tutto in parete con accanto le nuove protezioni. Così quando avrà tempo e comodo salirà a riprendersi il materiale senza perdere per questo la proprietà intellettuale della via
  • Ma ti rendi conto di quante parole stiamo facendo?
  • Bastava un “va in cul”.
  • Sotto forma di regalo. Un “va in cul” a forma di buono spesa per una trentina di piastrine nuove di stecca in inox 316.
  • A meno che… quelle piastrine non abbiamo un valore simbolico, affettivo.
  • Allora è un altro discorso. 
  • Bisognava esser chiari fin da subito. Bastano sempre tre parole per dire chiaramente.
  • Oppure tacere.
  • Sei poco Zen!
  • Zero.

Andrea Tosi


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