Non c’è più tempo per rimanere in falesia.
Con lenti gesti rituali si ripercorre la corda, metro dopo metro. La si fa scorrere sul palmo della mano, tirandola con l’altra. La si avvolge attorno al braccio ad anse alterne. Una bracciata di corda sul lato destro, una bracciata sul lato sinistro.
Passo passo, al ritmo di questo stile libero senza piscina, si ritorna anche a quanto ci è rimasto “dentro” delle poche ore passate nel tête-à-tête con la roccia, in compagnia del compagno di cordata.
La mente assorta si anima di piccole storie, le più varie.
Nel tempo in cui si riavvolge la corda e il nastro della giornata, i punti salienti appena vissuti vengono ricollocati in memoria in modo verosimile.
Si cerca di non far cadere il filo degli eventi appena goduti, ma lo si fa in maniera creativa, tagliando e cucendo in modo arbitrario i fatti, che per essere ricordati devono essere riassunti e compattati.
La matassa che piano piano inizia a pesare sul braccio alimenta il desiderio di una fine, di un epilogo.
Non si vede l’ora di passare il capo rimasto libero sotto l’asola, lasciata volutamente lasca, e di sigillare il tutto, serrando il nodo che ne esce, con una stretta decisa.
“E tutti vissero felici e contenti”.
Nascono così delle piccole narrazioni. Nascono spontanee nella nostra testa e spesso svaniscono appena si butta l’occhio all’orologio.
È sempre tardi.
È sempre così.
L’orologio dice sempre la stessa cosa, eppure lo interroghiamo sempre, nella speranza di leggerci altro.
Nella chimera di avere più tempo per noi, si bruciano i nostri piccoli racconti impersonali che nascono mentre con occhi attoniti cerchiamo di arrivare alla fine della nostra 80 metri da 9,2 millimetri.
Evaporano così piccoli racconti divertenti, strampalati o pensieri importanti che, come una cometa, lasciano solo una scia nella nostra memoria. Non c’è tempo per bloccarli, per scriverli. Rimarranno di questa giornata solo i dati oggettivi, quelli che si possono contabilizzare. Spesso è solo questo che ci portiamo a casa. Qualcuno, da buon ragioniere lo segna anche sui diari virtuali…
È un peccato che questi momenti di creatività ad occhi aperti – momenti dove i pensieri non sono nemmeno veramente nostri – non lascino alcuna traccia. Sono istanti in cui lasciamo scrivere chi della scrittura sa farne a meno.
Scrive la roccia, il vento, l’odore di sudore, l’equilibrio perso sul passo delicato in placca. Lo scrive in noi, che scrivere dobbiamo, fosse solo per dirci chi siamo, dove andiamo e da dove arriviamo. La storia come un filo, una corda da 9,2 millimetri, senza capo e senza coda, fatta di scrittura.
Rockbook è questo: è la corda che viene riavvolta dall’associazione, sono i pensieri universali, generali, scritti sì da noi, ma per conto della roccia, della pelle lasciata sugli appigli, del vento che soffia mentre sul riposo si alternano le braccia per ritrovare freschezza. È un passo fuori dalle nostre storie private che spesso sanno di mediocrità e meritano solo le celle delle tabelle da compilare e le classifiche virtuali del web.
Rockbook è il libro che scrive la roccia, attraverso di noi, sulla comunità degli associati di Arrampicata Verona APS.
Rockbook nasce per essere la calza che riunisce tutto il caos di fili che compongono i trefoli, che a loro volta annodati insieme e tenuti stretti diventano una corda, un ordine dato al caos che diventa il filo conduttore che ci permette di scalare, di cadere e, in ogni caso, di tornare a terra con la dovuta lentezza.
Fili come brevi racconti, come gocce di memoria, come consigli mai scritti. Fili che iniziano e finiscono sovrapponendosi l’uno all’altro, in un tenersi per mano infinito che ha l’ardore di pensarsi creatore di un modo decente di stare in falesia.
Sarà ogni due mesi tra di noi. Un luogo dove tornare con calma per rileggere, per finire un racconto, per scoprire una storia.
Rockbook, la falesia di carta che ogni due mesi rinnova le vie.
Lo troverai dal 1 luglio, un numero ogni due mesi, sul sito di Arrampicata Verona Aps.
Buone arrampicate!
Andrea Tosi