In difesa della roccia

Dopo l’articolo “Oral Trad” pubblicato sul King Rock Journal e successivamente ripreso e commentato su Arrampicata Verona APS, sul GognaBlog, sul sito Intraigiarun, sul rinato forum Fuorivia ed ovviamente su Facebook ed Instagram, è giunto il momento di fare un passaggio ulteriore e pensare a come difendere le nostre falesie.


“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. Andy Warhol (1928-1987), poliedrico artista americano.

Muoviti come un nativo americano. Prendi solo fotografie, lascia solo impronte. Le pareti non le ereditiamo dai nostri padri ma l’abbiamo in prestito per i nostri figli.

Questo è lo spirito a cui dovremmo sempre ispirarci quando andiamo ad arrampicare. Poi certo, anche noi, arrampicatori, sportivi o alpinisti, lasciamo le nostre tracce, del nostro passaggio, siano pure chiodi o catene luccicanti ma almeno teniamo a mente un modello ideale, alto, irraggiungibile a cui fare riferimento.

“Non lasciate nessuna traccia di voi in parete, né chiodi, né cunei, né cordini: non asportate nulla dalla parete, ritornate portando con voi i vostri ricordi e le vostre fotografie; a chi vorrà seguirvi non dite nulla di preciso: soltanto il punto di attacco, quello di uscita e un cenno per le difficoltà generali”.

Gary Hemming, (1934 – 1969); alpinista americano, un anticipatore, soprattutto per quello che riguarda la sensibilità verso i problemi dell’ambiente. Questa citazione è presa da un articolo pubblicato nel 1964 in cui teorizzò in cinque punti i principi dell’arrampicata pura in un “manifesto”, pubblicato sulla rivista del Club Alpino Francese.

“La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra.”

Capo Indiano Seattle (1780-1886), citazione tratta dalla sua lettera al Presidente degli Stati Uniti per la difesa dei valori ambientali, un documento da leggere e meditare parola per parola.

“Tutti hanno bisogno della bellezza così come del pane, di luoghi dove giocare, dove la natura può guarire e dare forza in egual misura al corpo e all’anima.”

John Muir (1838-1914), il padre dei parchi naturali americani, uno dei primi conservazionisti moderni.

Queste tre citazioni parlano di tracce, di appartenenza e di bellezza: non dobbiamo prenderle alla lettera, ma dovrebbero essere di guida per le nostre azioni. È inevitabile che ogni nostro passo sulla terra comporti modifiche, spesso irreversibili, ma con la nostra intelligenza ed esperienza possiamo anche migliorare il mondo e non solo distruggerlo.

Non avrei mai voluto arrivare a questo punto… ho dovuto scomodare questi grandi e storici personaggi, padri profetici, decisamente in anticipo sui loro tempi, perché l’attuale situazione è grave, io vedo le nostre rocce, quotidianamente aggredite, indifese e qui dobbiamo fare uno scatto in avanti, dobbiamo inimicarci parte degli arrampicatori, dobbiamo prendere una posizione decisa ed intransigente per fermare questa deriva.

Parlando con molti climber, mi rendo conto che non tutti si sono resi conto della situazione, molti sono ancora accecati solo dal dio Grado, dal dio Che figo che sono, questa foto la metto su Facebook e lunedì in ufficio farò colpo sui colleghi, che sono bellissime illusioni di cui pure io sono succube, ma ora non basta più.

Ma se andate sui monti Peloritani, che sono in Sicilia, troverete cartelli delle Aziende Foreste Demaniali che recitano “Qualsiasi stupido è capace di distruggere gli alberi; non possono né difendersi né scappare.” È, al solito, una citazione di John Muir che noi potremmo parafrasare così: “Qualsiasi stupido è capace di distruggere le rocce, non possono né difendersi né scappare”.

È il momento di pensare ad un programma educativo che rallenti i danni che gli arrampicatori inevitabilmente portano.

Gli attacchi alle rocce sono innumerevoli e limitiamoci alle nostre rocce della Val d’Adige, Valpolicella, Valpantena e Lessinia, rocce che frequentiamo ogni fine settimana e che conosciamo come le nostre tasche.

Lo sappiamo che ogni azione umana nel territorio naturale è distruttiva o perlomeno trasformativa per cui ogni intervento su una parete che verrà trasformata in falesia per l’arrampicata sportiva ha un impatto visibile e che possiamo circoscrivere e minimizzare ma mai annullare.

Questi fenomeni sono più evidenti oggi perché il numero degli arrampicatori è in forte crescita, complice un’arrampicata meno rischiosa rispetto ai tempi eroici, complice il fatto della proliferazione delle palestre indoor, dei libri-guida che hanno saturato la conoscenza verticale, almeno nel veronese, fenomeni certamente ampliati a dismisura dai social media.

Tra l’altro le falesie veronesi sono massivamente frequentate anche da lontani arrampicatori che vivono nella piatta Pianura Padana dove le uniche salite sono i cavalcavia.

A fronte di una maggior frequentazione è inevitabile che ci siano comportamenti difformi o inaspettati rispetto a quanto succedeva in passato dove ci si conosceva tutti ed il controllo del territorio avveniva naturalmente.

L’arrampicata, alimentata da esigenze libertarie, contro-corrente ed anche anarchiche, l’arrampicata che si faceva negli anni passati, ora non è più sostenibile senza un sostanziale cambio di passo che si può riassumere in una rispettosa autolimitazione.

Tutti i nostri comportamenti si scontrano con quel materiale chiamato roccia e che da noi è uno splendido calcare, ora grigio, ora giallo-rosso, con due caratteristiche: non è illimitato ed è soggetto ad un processo di consunzione irreversibile.

Chiaramente se le pareti non venissero chiodate, essendo terreni quasi inaccessibili, si difenderebbero da sole, ma nel momento in cui le chiodiamo diventano alla portata dell’uomo.

Certo non sarebbe male pensare anche di chiodare alcune pareti in modalità esclusiva e selettiva: questo è il segreto di Ceraino che negli anni è rimasta una falesia ambita, temuta e severa al tempo stesso.

Ovviamente questa pratica di chiodatura selettiva è in contrasto con i principi dell’arrampicata sportiva dove con la parola sport riecheggiano concetti di divertimento e rischio limitato: infinite discussioni si sono tenute su questi concetti e su quanta ansia generasse quel passaggio che abbiamo trovato “lungo”. Qui solo la saggezza e l’esperienza potrà guidare chi apre e manutiene le vie di roccia.

Vediamo alcuni esempi di fenomeni che sono da tenere nella dovuta attenzione.

Quando passo da Tessari, al fine settimana, vedo decine e decine di macchine di arrampicatori che hanno necessità di sfogare le proprie frustrazioni quotidiane o semplicemente la voglia di stare all’aperto e divertirsi con la propria attività preferita, penso a quanto potrà durare questo fenomeno… la natura riuscirà ad assorbire questa invasione umana senza subire troppi danni, troppe trasformazioni spesso irreversibili?

Mi è chiaro che ciascuno dovrebbe muoversi in punta di piedi se vogliamo mantenere più a lungo possibile questo ambiente a pochi chilometri dalle città.

Ovviamente non vorremmo mai vedere nascere nuove vie ferrate con la scusa di valorizzare il territorio o con altre scuse di marketing territoriale che semplicemente nascondono interessi economici privati. Tra l’altro, fenomeni simili, come i famosi ponti tibetani nostrani, sono spesso fonti di attrazione turistica e di incidenti a cui deve ovviare il soccorso alpino – si veda ad esempio il ponte tibetano della Val Sorda.

Così come non siamo d’accordo con le azioni di sperimentazioni e bricolage che sono state effettuate nella storica falesia cittadina, situata a pochissimi chilometri da piazza Bra, nota come Avesa: è un piccolo gioiello adatto per neofiti, per chi ha poco tempo ed è allergico alla plastica, per favore… preserviamolo.

Ultimamente è nata pure la moda, discutibile, di disboscare tratti di parete per aprire vie, a più lunghezze di corda, le cosiddette multipitch, di moderata difficoltà: oltre a modificare il paesaggio con lunghe strisce “depilate” dall’effetto estetico discutibile, mettono a nudo pericolosi tratti friabili, dove madre-natura riusciva a mantenere il terreno compatto tramite le radici della vegetazione.

Anche l’esperienza dei recenti “festival dell’arrampicata”, beh auspichiamo che si muovano sempre in modalità rispettose per l’ambiente verticale sempre più antropizzato…

Tenere l’attenzione alta su questi fenomeni forse ci servirà a ritardare il disastro che tutti temiamo: la roccia consumata, liscia o meglio “unta” come si dice in gergo. Non c’è niente di più triste di andare nella falesia di Marciaga e constatare che la roccia è “unta” e quindi irrimediabilmente rovinata, abbandonata: il nostro consumismo verticale in pochissimi decenni ha fatto fuori un gioiellino sovrastante il lago di Garda.

Per concludere, dall’esperienza accumulata, da quello che vedo in falesia, da ciò che leggo sui social, sento l’esigenza di mettere nero su bianco quello che dovremmo fare e quello che dovremmo evitare, insomma una serie di indicazioni a cui attenersi, per un modo rispettoso di vivere le falesie.

Una serie di suggerimenti che funga da stimolo educativo e riflessivo più che da patetica e “bacchettona” imposizione prescrittiva.

  • Tratta la roccia e l’ambiente naturale circostante con il massimo rispetto. Sei solo un ospite.
  • Parcheggia la tua auto in maniera appropriata e tenendo presente le proprietà private. Camminare un po’ di più fa sempre bene al fisico.
  • Non lasciare rifiuti, anzi raccogli tutto quello che trovi in giro, anche se non è tuo.
  • Se devi andare in bagno, allontanati quanto più possibile dalla falesia e fai come i gatti che ricoprono i propri bisogni.
  • Sappi che molto probabilmente sei su una proprietà privata dove viene tollerata la nostra presenza. Non abusare di questa tolleranza.
  • Non accendere fuochi alla base delle falesie, non è un campeggio, è pericoloso, oltre che vietato nel Parco Naturale della Lessinia, inoltre è decisamente brutto vedere i residui delle braci. Anche l’estetica è importante.
  • La falesia non è un posto per fare bivacchi o feste o rave-party, cerca sempre che la tua presenza passi quasi inosservata.
  • Se vuoi migliorare un sentiero o migliorare la “parterre” alla base della parete, non esagerare nell’abbattere le piante.
  • Se porti i bambini in falesia non dare loro gessetti colorati per colorare le rocce.
  • Se porti i cani, legali, che non vadano a curiosare negli zaini delle altre persone, potrebbe dare loro fastidio.
  • Non fare scritte alla base delle vie. Se i nomi sbiadiscono o sono assenti, vorrà dire che userai il tuo spirito di avventura per interpretare le guide. Non scrivere il grado… i gradi cambiano negli anni.
  • Non scavare mai tacche o creare appigli artificiali. Se non passi, allenati di più o scala una parete più facile o semplicemente lascia il passaggio alle future generazioni.
  • Usa la magnesite con parsimonia, non segnare appigli ed appoggi. Se proprio “devi” segnare, poi ricordati di spazzolare.
  • Contribuisci anche tu a togliere le erbacce dalla parete.
  • Se ci sono nidi o presenza di altri animali, segnalalo.
  • La falesia non è uno stadio: non urlare o bestemmiare se sbagli un tiro: semplicemente allenati di più.
  • Se hai la necessità di piantare chiodi per impratichirti o perché sei istruttore o Guida Alpina e vuoi insegnarlo ai tuoi allievi, vai in una cava, mai in falesia: rovinerai in maniera irreversibile le fessure.
  • Se vuoi fare dry-tooling con piccozza e ramponi, non farlo mai nelle falesie dedicate all’arrampicata sportiva, le rovineresti in maniera irreversibile.
  • Se vuoi allenarti come speleologo, non utilizzare le falesie dedicate all’arrampicata sportiva, i tuoi spit non sono adatti all’arrampicata sportiva.
  • Se hai intenzione di piantare spit per aprire nuove vie o effettuare manutenzioni di vie esistenti in cattivo stato, rivolgiti ad arrampicatori esperti e riconosciuti dalla comunità locale, non agire in autonomia. In ogni caso non utilizzare più, come si faceva in passato, materiale artigianale, di ferramenta, o non in linea con gli standard attuali.
  • Se vuoi aprire una via nuova, rispetta gli itinerari già esistenti, le avventure di chi è venuto prima di te, e non intersecare mai altre vie. Oltre al rispetto dell’ambiente anche il rispetto della storia alpinistica, sia pure minore, è importante.
  • Se vuoi aprire una via nuova o effettuare manutenzione di una via esistente, fa si che la chiodatura sia logica, non troppo corta che banalizza la via, né troppo lunga poiché pericolosa. Tutto ciò richiede esperienza. Non sai come procedere? Rivolgiti ad arrampicatori esperti e riconosciuti dalla comunità locale, non agire in autonomia.
  • Senti proprio la necessità di aprire una via esclusivamente in artificiale? Tieni presente che molte vie di artificiale del passato sono state modificate per esaltare l’arrampicata libera. Quindi rischi di rovinare una parete vergine, oggi impossibile ma forse terreno di gioco per le nuove generazioni. Quindi pensaci bene prima di bucare.
  • Non disboscare pesantemente per aprire una via multipitch. Riteniamo che tale pratica necessiti di un accurato esame prima di procedere con la realizzazione. Pensa anche alla friabilità, e non solo alla fruibilità, del risultato finale.
  • Non pubblicizzare nuove vie o falesie sui social. Pensaci bene prima di inviare un post! Le tue azioni sui social media hanno forte impatto sulla comunità rampicante e potresti causare affollamenti. Un PDF pubblicato sui social media, può inflazionare una falesia.
  • Se vedi che qualcuno strappa un’erbaccia, mette a posto un sentiero, fa manutenzione in parete, ringrazialo. A te non costa nulla e a lui farà molto piacere. Probabilmente è molto legato a questi territori e lavora da volontario anche per il tuo tempo libero.
  • L’arrampicata non è solo prestazione sportiva, ma è anche simbiosi con l’ambiente naturale, estetica, eleganza. Fai sì che, tramite il tuo comportamento responsabile, anche gli altri possano vivere, oggi e domani, questa fantastica esperienza.

Questo lungo elenco di suggerimenti impattano l’ambiente naturale e quindi sono importanti per tutti poiché ci indicano “come vivere le falesie in modalità rispettosa per l’ambiente”.


Massimo Bursi


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