L’estate che veniva
con le nuvole
rigonfie di speranza
nuovi amori
da piazzare sotto il sole
Potrebbe essere un banale tormentone estivo quello che la radio graffia nell’aria mentre i miei occhi continuano a tornare sulla stessa foto.
Non è una ragazza, non è un’atleta, non è una campionessa.
Aggrappata alla roccia, al centro dell’inquadratura, c’è una signora.
Bionda, con i capelli a caschetto appena sotto le spalle, corporatura regolare, trucco da tutti i giorni.
Una signora che potresti incontrare al supermercato, tra la corsia della pasta e quella dello scatolame, che ti risponderebbe con un sorriso di cortesia mentre sposti il carrello per lasciarla arrivare allo scaffale delle conserve.
Eppure la foto continua a chiamarmi in mezzo alle mille altre che il motore di ricerca mi propone all’input “arrampicata sportiva”.
Tra aitanti uomini che affrontano strapiombi, ragazze che si muovono eleganti lungo diedri lisci, atleti che scalano pareti artificiali e bambini che muovono allegri i primi passi in verticale, la foto che non smette di attirare il mio sguardo è questa.
La scarico, la apro e la guardo bene.
La foto è grossomodo quadrata ed è divisa verticalmente in due parti.
A destra c’è una valle in pieno sole.
È sfocata ma se ne possono intuire i dettagli: strade di campagna, il letto di un ruscello, campi probabilmente coltivati. Di fronte c’è un pendio che alterna radure a chiazze di bosco e sottobosco, macchiato di grigio da rocce o ghiaioni. Sotto il pendio forse le case di una contrada.
Una culla di vita in movimento.
Nel guardarla percepisco la brezza che muove le foglie dei rovi di more e dei cespugli di nocciola, che agita le cime di alberi di mele e marasche. Vedo la polvere posarsi sulle strade bianche dopo il passaggio di un trattore, sento il gorgoglìo del ruscello e le voci dei bambini che giocano tra le case della contrada.
La parte sinistra della foto invece è occupata dalla roccia.
Una parete calcarea perfettamente a fuoco, tanto che è possibile vederne ogni minimo dettaglio: la ruvidità, le crepe, le rughe, le screziature rossastre che risaltano sui toni di grigio e di giallo, le tracce scure del passaggio sempre uguale dell’acqua, le forme rigide e consolidate.
La roccia è battuta dallo stesso sole che illumina la valle e che, data la proiezione delle ombre, sembra sul punto di scendere verso l’orizzonte, avvicinandosi alla sera.
La parete è statica e muta, lontana dalla vita e dal movimento.
È un elemento di contrasto con cui la foto sembra voler sancire un ordine risaputo e scontato: movimento e suoni stanno nella valle, rigidità e silenzio stanno nella roccia.
Anche la radio sembra volersi adattare a questo stato e continua:
I passi delle onde
che danzavano
sul mare a piedi nudi
come un sogno
di follie venduto all’asta
Come per ribadire: la valle è la culla della vita, la roccia è statica e immobile, l’estate è leggera e frivola.
È così che vanno le cose.
Ma poi c’è lei: la signora aggrappata alla roccia.
Con i fuseaux colorati a motivi geometrici in tinta con l’imbrago e le scarpette. È chiaro che li ha scelti sia per la comodità che per l’abbinamento cromatico, ci ha pure aggiunto quella maglia termica nera che sta su tutto. Poi si è truccata come per andare in ufficio e non si è nemmeno tolta la fede.
Ma non è lì per caso e sa benissimo cosa sta facendo.
È verso la fine della via, ha appena superato un leggero strapiombo, si è rannicchiata sopra una cengia e ha rinviato. Si aggrappa con determinazione con le mani a due tacche ad altezze diverse e si prepara a distendere le gambe. Con lo sguardo sicuro punta più in alto, alle prese su cui sta per lanciarsi.
È ferma ma il suo corpo è un concentrato di dinamismo: il movimento è dentro di sé e sta per esplodere. In termini meccanici l’istante si definirebbe con le formule:
v = 0; a = max; (velocità uguale a zero, accelerazione massima).
Come un sasso che lanciato verso l’alto ha raggiunto l’altezza massima, si è fermato, ed è carico di tutta l’energia che sta per sviluppare nell’imminente caduta.
E la sua presenza ribalta il racconto, stravolge l’inquadratura e l’ordine delle cose: un istante infinito in cui la valle si ferma, muta e cristallizzata, mentre la roccia si riempie di vita, di dinamismo e di movimento.
E proprio nell’attimo in cui intuisco che è questo ribaltamento ad attirare così intensamente il mio sguardo, il tormentone estivo in sottofondo cambia ritmo e tono con un inaspettato:
si lavora e si produce
si amministra lo stato il comune
si promette e si mantiene a volte
e, aprendo la visuale su ciò che gira attorno al nostro piccolo mondo, stravolge anche la prospettiva sulla banalità di un’estate.
Otto von Bismarck-Schoenhausen
realizza l’unità germanica
e si annette mezza Europa
Michele Novaro incontra Mameli
e insieme scrivono un pezzo
tuttora in voga
Perché niente è come sembra, o come si vorrebbe che fosse, e basta spostare lo sguardo e il punto di vista per trovarsi sorpresi ed emozionati da qualsiasi situazione umana.
Franco Zanella
(strofe da “Sfiorivano le viole” di Rino Gaetano)