Il Tempio delle cimici

Ciao Luca,

è passato parecchio tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti e mi mancano le nostre chiacchierate su tiri, falesie, natura.

Per questo ho deciso di scriverti una lettera, come ai vecchi tempi, per raccontarti le novità arrampicatorie degli ultimi tempi.

Come va lì a Tulun, dall’altra parte dell’oceano sotto le nuvole messicane?

Mi sono reso conto che gli attimi oramai si sono tramutati in anni e di cose ne sono cambiate molte dal tempo delle nostre audaci arrampicate sulle falesie veronesi.

Son certo che da quelle parti di roccia se ne trova gran poca, se non qualche piccolo boulder parecchio underground; in caso contrario, fammelo sapere!

Tornando a noi, ti scrivo (“e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò”)  per raccontarti un po’ quello che è successo al Tempio delle cimici: una storia ancora in “corso d’opera”.

Parlo di quella parete che in una delle nostre ultime uscite insieme ti avevo indicato mentre percorrevamo il fondovalle sulla strada di ritorno da Ceredo. Ecco, quella parete è diventata oggi la falesia a cui sono più affezionato, di certo il posto a cui ho dedicato più cure ed energie… 

Tu puoi capire, scrivendo da chiodatore a chiodatore: ci si intende facilmente.

E così, il piccolo e timido “Tempio delle cimici”, nonostante il nome poco invitante e l’avvicinamento più avventuroso rispetto allo standard, chi lo avrebbe mai detto, ha spiccato il volo.

Sì, pur esiliato ai margini periferici della Valpantena, quel modesto fazzoletto di roccia arroccato lassù, che dalla “valle degli Dei” sovrasta gli abitati dei Dorighi e della Spionca, invisibili e nascoste linee di confine tra Sant’Anna d’Alfaedo e Grezzana, ha svelato il proprio carattere.

Per me, e lo dico da arrampicatore e da chiodatore, è stato e sarà per sempre, il luogo più intimo e anche un bel banco di prova.

Dovresti guardarlo da vicino, con il suo pulpito (il settore di sinistra) e con il suo altare (quello di destra). È proprio lì dove, con poca presunzione, molta ingenuità e ancor più coraggio, iniziammo ad attrezzare quello splendido muro di calcare striato. Lo dovresti proprio vedere: un’alternanza di fasce rocciose che passano dal molto strapiombante con appigli spesso generosi, ma taglienti come rasoi, a fasce più verticali con gocce fiammeggianti ed aggressive.  In più, come ciliegina sulla torta, c’è il protagonista indiscusso: “il rosso Verona”, quasi sempre ricoperto da un sottile strato di calcare grigio, a volte invece fa trasparire la sua vera essenza cromatica mostrando un soffice rosa salmone unico nel suo genere. Le sue rigole orizzontali, dettate da millenni di sedimentazione, regalano improbabili svasi e piccole tacche che assicurano progressivamente, salendo verso la catena, una ghisa agli avambracci che non perdona, sensazione che ti è sempre piaciuta.

Ti sorprenderebbe la policromia rocciosa, che colora di giallo tenue, o bianco panna, la fascia iniziale che in alcuni casi fa da sfondo alle canne nere, grigie e beige fino a tingersi di sfumature azzurro celeste. La fascia medio alta spicca all’occhio e sembra infiammarsi di un acceso rosso arancione fino a sfociare in un caldo e morbido ocra. Qui la roccia sembra voler imitare un incastro cubico tetraedrico, sfidando apparentemente alcune leggi della fisica, presentandosi con un aspetto friabile, anche se fortunatamente i blocchi sono ben saldati tra loro.

Sai, da sotto, da dove quel giorno ti avevo indicato il Tempio, tutto questo si poteva solo intuirlo.

Non ti nascondo che i lavori di disgaggio, pulizia e consolidamento della parte non sono stati semplici, sono anche costati parecchio in soldi, energie, tempo e devo dirti che il lavoro non è ancora finito. Però le linee adesso sono ben ripulite, grazie anche alle ripetizioni sempre più frequenti, e ben accette, degli amici arrampicatori. 

Per quanto riguarda l’avvicinamento che ho scovato e pulito salendo dal basso, quello intravisto quando abbiamo esplorato i possibili accessi partendo da Dorighi, è ormai caduto in disuso. Ho anche riposizionato la targa scolpita nel legno, quella che indicava l’attacco del sentiero per salire alla parete, l’ho spostata per segnare la via per scendere ma qualcuno se l’è fregata. In sua vece c’è un ometto di pietre. Quindi l’iniziale accesso dal basso non c’è più, sostituito da uno più comodo che, passando dall’abitato di Giare, porta alla falesia dall’alto. Chi è più fortunato e possiede un utile fuoristrada riesce addirittura a parcheggiare sopra la falesia!

Ora ci si mette poco e se parcheggi il 4X4 sopra la falesia, ci vuole la metà.

Ma devi sapere che c’è un’altra bella novità, che fa sperare ad un ancor più comodo accesso e che sicuramente aumenterà piacevolmente la frequentazione del sito: è in costruzione un nuovo birrificio proprio a due passi dall’ultimo tratto di sentiero. Immagina allora chiassosi e felici scalatori, brindare e festeggiare la libera dei tiri per coronare il fine giornata trascorso in falesia, così come abbiamo spesso fatto noi. 

Tornando alla falesia. Per facilitare l’accesso ho fissato delle cambre per agevolare l’arrivo alla base principale e negli altri due settori ho messo qualche spit in più per rendere più sicura e confortevole l’assicurazione, là dove la base è più scomoda. Ho aggiunto qualche rinvio fisso nei passaggi più ostici e strapiombanti… sì, ho fatto anche quello!

Infine, l’associazione Arrampicata Verona ha gentilmente messo a disposizione, gratuitamente, dieci moschettoni in acciaio con ghiera che ho già provveduto a posizionare sulle soste dei tiri più ripetuti ma di questa Associazione, e di quello che fa, ti parlerò nella mia prossima lettera.

Credo tu abbia chiaro che mi sono preso cura di questa sorta di castello errante, cercando di renderlo più comodo e fruibile dalla comunità degli amici arrampicatori. Certo, come ti ho già detto, i lavori non sono ancora ultimati e spero di riuscirci a breve, magari con l’aiuto di qualche amico fidato e spero di qualche giovane volenteroso: ci vorrebbero il tuo “occhio” e le tue braccia per finire fuori tutto in fretta!

Nel frattempo, spero sempre nella regolare frequentazione del posto, cosa che assicura la pulizia sia del sentiero, sia dei singoli tiri. Tutto per  valorizzare, nel rispetto di questo splendido luogo selvaggio e di chi ci ha lavorato,  questa falesia che come un tempio antico è pronta ad ospitare i suoi sudditi, quelli con quella particolare abitudine di guardare verso l’alto.

Luca, a volte penso che in tutti questi anni non ho fatto altro che preparare questo “tempio” per te, per aggiungere un altro buon motivo sul piatto della bilancia che ti invita a varcare nuovamente l’oceano. 

Non per tutta la vita, lo so che stai bene in Messico, solo il tempo che ti serve per ripetere tutti i tiri… anche l’8a che non hai mai fatto!

Con affetto,

Giacomo

Giacomo Duzzi



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