Ryobi! Chi era costui?
Premi il pulsante posteriore e sgancia. Riaggancia al supporto e attacca la spina alla rete.
Rosso. Lo sapevo. Era scarico.
Una volta usavamo il Ryobi e bastava fare il “pieno”.
Non ricordo gli sia mai stato dedicato il nome un via. Non una “classica”, non nel veronese.
Magari sbaglio e ricordo male… ma sbaglio di poco…
Lo meritava, “Il Ryobi”, perché è stato lo strumento che ha dato forza e velocità alla mano del chiodatore.
Ryobi, ovvero “il Trapano (maiuscolo) a percussione a benzina”.
Oltre dieci chili da scarrozzare in falesia, oltre dieci chili da sollevare, insieme al resto della ferraglia, a colpi di Jumar e gri-gri. Da terra fino alla catena.
Prima di allora si andava di batti-spit, un perforatore-a-mano sul quale si batteva, a lungo e sodo, con colpi di martello per forare la roccia di pochi centimetri.
È andata così! Che ricordi!
La luce è ancora rossa e, mentre aspetto, non riesco a uscire dal pensiero che il mitico Ryobi del Bepo Zanini meriterebbe il nome di una “Classica”. Sarebbe il minimo! In verità, avrebbe meritato il nome di un intero settore oppure l’esposizione in una teca di vetro all’interno del King Rock! Ma siamo ancora in tempo per colmare questa lacuna…
Era una prova di forza, un test, riuscire a tenerlo fermo a braccio steso e “puntarlo” sotto lo strapiombo che si stava chiodando.
E poi, trovare il fiato e la forza per accenderlo, con la sua stramaledetta accensione a strappo.
Brum Brum…
Tempo perso nella speranza che la miscela sempre troppo grassa non soffocasse nell’olio le scintille di una candela sempre da pulire.
Tempo speso a reclutare le fibre necessarie per “puntarlo” nel punto voluto e per iniziare a forare.
A pensarci adesso, quel tempo perso e speso, era il tempo dell’intelligenza. Quel ritardo tra pensiero e azione, quella lentezza tra il “penso di forare qui” e il “faccio il foro qui”, era lo spazio necessario per far sì che le azioni avessero un senso compiuto.
Aveva ragione Paul Virilio – anche lui meriterebbe di essere ricordato da una via – quando ammoniva che la “velocità è potere”. Parlava di “Dromocrazia” – bel nome eh! – come del “potere della velocità”. Avesse mai rivolto il suo pensiero al mondo dell’arrampicata – di certo aveva di meglio da fare – avrebbe detto che la storia dell’arrampicata sarebbe progredita con il velocizzarsi dei suoi strumenti di chiodatura.
Bell’affare… e così è stato!
Si è quindi dismesso il Ryobi in favore dei primi pesanti trapani elettrici che comunque non combattevano sullo stesso ring dei pesi Massimi/Super Massimi a benzina.
I primi trapani a batteria erano dei pesi Welter, più maneggevoli da trasportare ma comunque pesanti per lavorare in parete!
Ecco che la ricerca di velocità nel passare dal pensiero all’azione portò all’idea di staccare le pesanti batterie dal “corpo motore” del trapano. Quindi, pacchetto batterie da una parte e 20 metri di filo elettrico più in là il trapano con la punta da 10mm. La batteria rimaneva a terra fino a fine filo, poi, nei tiri più lunghi, il pacco batteria veniva agganciato con un fi-fi artigianale a qualche occhiello infisso a metà via.
Nel frattempo, la luce lampeggia. È arancione.
Penso che oggi lo chiamerebbero “tuning del trapano” quel sistema pensato per sostituire le batterie originali mettendo in serie o parallelo le batterie più “capaci” che il mercato proponeva nel mondo antifurti/motociclette.
E poi… e poi siamo ai giorni nostri con i pesi Piuma ma potenti da 36 Volt e i primi pesi Mosca da 18 Volt proposti da Bosch. Ecco, in questo caso una via dal nome “Uneo Maxx” esiste già.
Penso che sia andata così. A tutto gas nella direzione della velocità! ne è sicuro il mio sudore in parete!
Per contro, c’è un altro sudore che mi riporta a quanto scriveva Virilio: “La velocità è la vecchiaia del mondo… Trascinati dalla sua violenza non andremo da nessuna parte, ci accontentiamo di partire e di muoverci dal vivo a favore del vuoto della rapidità”.
Dalla vita della lentezza della materia al vuoto dell’istantaneo virtuale.
Penso alluda alla vecchiaia di un mondo che scriveva lettere d’amore con la penna biro, sentendo la resistenza offerta dalla carta… calcando inconsciamente la mano quando le parole diventavano “oneste ma grosse” per dirla con Ligabue :-).
Penso alla protezione messa con il “Batti-spit”, alla chiara sensazione di sentire la resistenza della materia. Colpo dopo colpo, la volontà calca la mano e batte sullo stesso punto perché “lì va messa” la protezione, ed è giusto così. La compiutezza.
Oggi le lettere d’amore si battono sugli schermi touch dei dispositivi… e, se serve, si inoltrano a vari destinatari… qualcuno abboccherà.
Niente di diverso in parete…
Ma nel mentre mi perdo in queste divagazioni, il caricabatterie è finalmente diventato verde.
Sì, oggi vado a scalare. Metto il trapano nello zaino, l’Uneo, non il Ryobi. Devo spostare verso il basso un tassello. Dove l’avevo messo, quando sono sceso velocemente, pulendo e chiodando calandomi dall’alto, non era moschettonabile… non avevo provato bene il passaggio. Ne metto uno nuovo a 15 cm dal vecchio che spingerò dentro la roccia…
Sia questo il nuovo “chiodo scaccia chiodo”?
Maledetto Virilio… l’avevi previsto che il nodo stretto tra tecnica e velocità avrebbe “creato un’instabilità sconosciuta in passato, tale da divorare spazio e tempo e lasciare in balia dell’incompiutezza”.
Trapano leggero e velocità: una droga per “nani affetti da gigantismo” – cito sempre Virilio – che sono da tempo in attesa della pistola pianta-spit usata da Sylvester Stallone in “Cliffhanger – L’ultima sfida” nel 1993.
Maledetto filosofo! Sia come sia, adesso esco, zaino in spalla e in cuffia Caparezza. Canto senza pensare alle parole: “Io diventerò qualcuno”.
Vado a sistemare la via…
Ah, già… il nome? la chiamerò “Ryobi”!
… “Io diventerò qualcuno.
Non studierò, non leggerò, a tutti voi dirò di no:
Ecco perché diventerò qualcuno.
Se vuoi parlare un po’ con me ti devo addare al mio MySpace”.
Andrea Tosi
N.B. Articolo scritto per la rubrica “Divagazioni” del King Rock Journal.
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