Sopra il quotidiano

Un cubo di luce fredda con le pareti variopinte, un rumore di fondo ciarliero, tanta gente che va e che viene, corde colorate, borse e zaini sparsi qua e là, e polvere a mezz’aria. La prima impressione che Anna ha avuto entrando nella palestra di arrampicata è stata quella di un allegro cantiere.

È stata Lena, la collega dell’assistenza clienti, a convincerla a fare un’ora di prova. Lena è allegra, piena di vitalità e di passione, e Anna, da quando si è separata, la guarda con un po’ d’invidia per la sua energia e la sua spigliatezza.

Molte volte Anna, da dietro la sua scrivania, ha confrontato i suoi completi classici con le gonne colorate e le camicie allegre di Lena, e ha paragonato i propri capelli lisci, castani e regolari, con i riccioli neri da monella della collega più giovane.

Anna si sente soffocare in questo periodo: le malinconie della bimba, l’atteggiamento di superiorità dell’ex-marito, il capo che si sente in diritto di farle battute stupide, il dover arrangiarsi per tutto. A volte le sembra di trovarsi in un banco di nebbia fitta e che le manchi l’aria.

Arrivate alla palestra sono state accolte e accompagnate a conoscere il mondo dell’arrampicata sportiva da un istruttore riccio e baffuto, con gli occhi vispi e la voce simpatica e rassicurante. Hanno scoperto un mondo in cui si sale in alto solo per ridiscendere, dove si può cadere senza farsi male, e dove si possono scambiare senza problemi due parole con chi ci si trova vicino.

È tornata a casa con le mani doloranti e la piacevole sensazione di aver scoperto qualcosa di nuovo, come se nella nebbia che la avvolge fosse entrato un refolo di brezza leggera.

Rinfrancata da questa boccata d’aria, ha seguito ancora Lena e si è iscritta con lei ad un corso per principianti.

Ha preso anche l’occasione per cambiare aspetto, per non somigliare, anche solo per poche ore la settimana, all’anonima ragioniera con la pettinatura in ordine e gli occhiali da computer.

Ha fatto shopping: un top tecnico blu che le fa risaltare il seno e le spalle, e un paio di pantaloni di tela azzurra sotto il ginocchio, morbidi, ad evidenziare le lunghe gambe e nascondere quel chilo in più che non se ne vuole andare e che le dà così fastidio.

Non che intenda essere attraente, ma se le capitasse di sentir scivolare su di sé qualche sguardo le farebbe senz’altro piacere.

Nello spogliatoio raccoglie i capelli in una coda alta, dà un’occhiata veloce allo specchio per controllare che il trucco le evidenzi il verde degli occhi senza essere appariscente, e raggiunge le pareti.

Lena, spigliata ed estroversa, è già lì che scherza con l’istruttore. Anna, un po’ più timida, rimane un passo indietro e, mentre indossa imbrago e scarpette e aspetta che il gruppo del corso si completi, inizia a sentirsi estranea e a disagio.

È il senso di colpa per la bimba lasciata dalla zia, è il timore di cosa le diranno i genitori, è la faccia del suo ex, pronto a giudicare e a liquidare come immaturo ogni suo comportamento.

Si trova in imbarazzo durante le presentazioni. È distratta mentre l’istruttore parla. È titubante mentre il gruppo si sposta sotto la parete didattica. Vorrebbe rinunciare quando deve agganciare i moschettoni all’imbrago.

Poi le tocca mettere le mani sulle prese e staccare il piede da terra, e per un istante si sente completamente fuori luogo.

Sale i primi metri contro voglia, ma poi scatta qualcosa: la sua mente si concentra su ogni movimento, sulla posizione delle mani, dei piedi, su una sottile vertigine, e pian piano i timori se ne vanno.

Qualche metro ancora e inizia a sentirsi leggera, libera, come se da quel moschettone fissato là in alto scendesse una pioggia fresca e rigenerante. Una pioggia che ad ogni goccia si porta via un pensiero.

Sale un metro e il muso da idiota del suo ex svanisce, un altro metro e di quella piccola perdita sotto la lavatrice non le importa più, un metro ancora e quel viscido del suo capo diventa un omino piccolo e insignificante, arriva in cima e vede il volto della sua bimba sereno come quando chiude gli occhi nel lettino.

L’istruttore la cala, le dice “brava”, ma lei quasi non lo ascolta, la sua mente è ancora lassù, sopra il quotidiano.

Si guarda intorno e osserva l’allegro cantiere, un cantiere dove è possibile, magari solo per qualche ora la settimana, costruire una prospettiva nuova e respirare ancora la propria vita.

Franco Zanella


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